gamibu

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giovedì 26 aprile 2012

20 anni

non avrei voluto scrivere un altro post così, ma è ovvio che quando sono in difficoltà col presente non so fare nulla di meglio che sentire nostalgia dei miei 16 anni. sempre lì vado a parare. a quando nulla era ancora stabilito eppure era mille volte più definito di oggi.
ma oggi non sono i 16 anni che mi mancano. sono i 20. non cambia molto.
ma complici un paio di film adolescenziali visti ieri sera tardi ho sentito nostalgia di quella città che non è mai stata mia eppure lo era molto più di quella dove vivevo.
nostalgia del ragazzo che ho amato pensando fosse per sempre. dei nostri amici. dei locali che frequentavamo. delle fughe al mare. dei pomeriggi estivi sul letto coi libri degli esami abbandonati di lato, nella penombra.
l'ho chiamato oggi. che ci sentiamo ancora. non ho saputo dirgli che mi mancava quello che eravamo. sarebbe stato inutile, sbagliato e forse falso. non mi mancava lui. mi mancavo io.
mi mancavano i jeans stracciati, le maglie stroppicciate, le birre, saltare più in alto e pogare con musiche assordanti.
mi mancavano le certezze. l'amicizia incondizionata.
i cornetti alle 5 del mattino. niente soldi in tasca. l'aria. si, l'aria appena scesa dal treno.
mi mancava tutto. mi manca.
ma non ha senso. lo so che non ha senso. ma non sempre le cose hanno senso, no?
è la paura. l'insicurezza. la voglia di tornare a vedere il futuro da dietro un vetro perfettamente pulito. mi manca di guardarmi allo specchio e riconoscermi esattamente per quello che sono.

oggi sono così. persa nei ricordi. spaventata dal futuro. in dubbio sul presente.

un mese. troppo. davvero troppo. mi perdo in un mese e non mi ritrovo.

mercoledì 25 aprile 2012

un'illogica malinconia

mentre facevo pulizie di primavera, pensando al trasloco, alle cose da fare, alle mie solite do to dall'iPod parte una canzone.
e io mi trovo lontano, in notti al sapore di birra e sesso, nel sottotetto di un uomo che non ho mai amato, ma con cui ho condiviso uno dei momenti più bui. la canzone andava in loop dal suo pc, la luce verdastra era l'unica che ci illuminava, la luna non si vedeva quasi mai. di lui ricordo la consistenza sotto le dita più che il viso. nell'ombra sembravamo marionette tra le mani di un dio svogliato.
non ci amavamo, ma ci siamo fatti compagnia per un bel pezzo di strada. la disperazione diluiva in quelle notti dove le parole erano poche e i corpi dicevano tutto. non c'era altro: disperazione e attrazione.
abbastanza per qualche mese, nulla per costruire.
ma io non volevo costruire, volevo dimenticare.
non l'ho mai ringraziato per aver fallito la sua unica missione.

lunedì 23 aprile 2012

di anna karenina o delle "tragedie" familiari

Tutte le famiglie felici si assomigliano fra loro, ogni famiglia infelice è infelice a suo modo.
Anna Karenina - Lev Tostoj

non so se la mia sia una famiglia definibile infelice. io direi più che altro che ogni famiglia ha le sue psicosi, i suoi modelli incancreniti, i suoi ruoli stantii e immodificabili, le sue certezze granitiche difficili da smussare, la sua serie di delusioni reciproche, speranze frustrate, sogni infranti, allenaze rotte, rispecchiamenti imprecipi e insoddisfacenti.

quanto meno le ha la mia. quella di origine intendo, che quella mia e del mio amore è troppo fresca per subire queste pressioni. ma quella d'origine è un disastro, n guazzabuglio ingestibile.
i genitori sarnno sempre genitori e i figli figli.
a volte mi chiedo: ma è vero? è così inevitabile?
e io devo sempre difendere e sgridare mia sorella in un'altalena infinita di spinte e trattenute per evitare che cada? ma non è una bambina.. davvero non lo è?

e io? cosa sono io? posso essere adulta? posso essere trattata (e quindi considerata e ritenuta) adulta, quando ancora mi capita di dormire nel mio letto di bambina e di chiedere aiuto...

chiedere aiuto a un genitore, elimina automaticamente ogni possibilità di essere trattata da adulta? mi riporta all'infanzia, colludendo con il desiderio dei miei che io non cresca e col fastidio dei miei perchè non cresco.

esiste la possibilità di uscire dal circolo vizioso di aspettativa-delusione-tentativo di riparazione-aspettativa?
o da quello di  desideri contrastanti e ossimorici che sembrano pervadere ogni membro della mia famiglia rispetto agli altri? io che vorrei genitori presenti ma non invadenti. loro figlie indipendenti ma sempre accanto, bisognose di loro.

esiste un modo per essere genitori-figli senza soffocarsi, deludersi, incastrarsi?

lo dico guardandoci da fuori, pensando che anna karenina alla fine ci fa un baffo..che le sue scenate rispettoa  quelle di mia sorella sono dilettantesche..
lo dico con sgurado stupito, ironico e piuttosto distante. ma forse non è equilibrio questo. è solo che l'occhio del ciclone è mia sorella e non io.

i miei ieri sera mi hanno detto che ci avrebbero amato anche se fossimo state più banali e normali. io ho risposto loro chhe lo avrebbero fatto anche se fossimo state più sciroccate.
ma forse siamo il limite massimo che oggi possono pensare di tollerare di non-corrispondenza all'immagine che avevano in mente saremmo diventate.

forse si sottovalutano. forse in fondo, per quanto mi spiaccia non essere la figlia ideale, penso che in fondo sono loro che si erano illusi che potessi esserlo, perciò la loro disillusione ha poco a che fare con me.

sarebbe solo bello ogni tanto vederli sereni, nonostante quello che siamo.
perchè io credo fermamente che la chiave dell'amore sia questa.

amare, nonostante tutto.

mercoledì 18 aprile 2012

meglio o della convalescenza di frankestein

ieri ho toccato il fondo. me ne rendo conto dai messaggi e dalle telefonate delle amiche preoccupate. davvero preoccupate.
il buio, l'isteria, l'ansia, il senso di fallimento. tutto le ha spaventate.
non voglio dire che sia tutto passato. però ho capito che era troppo.

e allora ho respirato. ho dormito 10 ore in barba a quello che dovevo fare. mi sono presa un giorno di pausa. ho deciso di rimandare alcune cose. ho deciso che mi prendo tempo per pensare a che fare di me.
mi sono calmata.
la luce in fondo al tunnel stavolta sembra davvero la luce.
non è cambiato nulla o quasi da ieri. io sono cambiata. ho seguito i consigli di chi mi vuole bene. ho staccato la spina. ho deciso che non sono Atlante e il mondo può fare a meno di me per reggersi.

oggi sto meglio. ecco, lo dovevo dire. lo dovevo a chi si è preoccupato tanto per me. a chi mi ha visto a pezzi. ecco io sono una che va a pezzi e poi si ricompone. sono una specie di frankestein, con un sacco di cicatrici - però invisibili- ma ancora in piedi, sempre, di nuovo.

mi basta un buon sonno e mollare un attimo e mi ritrovo.
ecco sono in convalescenza oggi, raggomitolata sul divano con una tazza di the e un buon libro -quello in inglese, che non me la sentivo di iniziare. e non fa nulla se sono lenta a leggerlo..

martedì 17 aprile 2012

il sogno sbagliato

scrivo tanto in questi giorni. scrivo per me stessa, per ritrovare la stella polare persa dentro di me. scrivo per sfogarmi, per buttare fuori quest'acido che mi corrode. scrivo perchè sto male, sono a pezzi, quasi esaurita. scrivo perchè non riesco a piangere, ma neppure a ridere di me. scrivo perchè ho bisogno di non sentirmi sola come mi sento e allora scrivo per dimenticare che sono sola..un po' come l'ubriacone del piccolo principe che beveva per dimenticare la vergogna di bere.

poi oggi mi trovo davanti una persona benevola che dolcemente -ma bisogna immaginare che lo faccia dolcemente- mi dice che forse non sono adatta per il sogno che ho. e io abbozzo, davanti a lui, dico che ci penserò, ma la mia testa è in black out, riesco solo a pensare "fuori di qui". che se non fosse stato così dolce, avrei potuto arrabbiarmi, impuntarmi, ma la dolcezza è così disarmante a volte. sembrava davvero che lo dicesse per me, per evitare che mi facessi male su una strada che non ritiene sia la mia.
ma io male me lo sono già fatta, davvero, sognando un sogno "forse" sbagliato così a lungo.

torno a casa, fisso troppo il vuoto, mangio senza fame, fumo per distrarmi poi entro in macchina e esplodo. piango come un animale ferito, agonizzante. forse solo perchè è troppo, anche questo, da tollerare. mi do qualche minuto di sfogo. poi nello specchietto ripulisco le tracce di trucco, mi dico "non pensarci" respiro forte e accendo la macchina, vado via.

ok non ci penso, ma per quanto posso non pensarci? quanto può reggere questo gioco? quanto posso stringere i denti, quanti pesi posso portare prima di sentire le ossa spezzarsi?
quanto sola posso essere prima di impazzire?

quanto?

lunedì 16 aprile 2012

pensavo fosse una luce, invece era un treno

questo è uno di quei giorni in cui non posso dire altro che "hey ma vedo la luce in fondo al tunnel... opsss..è un treno!!"

quando sembra che le cose inizino a mettersi meglio. quando invece tutto si ingarbuglia ancora di più, come quel libro in inglese fermo sul tavolo da settimane che aspetta di essere aperto mentre io mi ripeto che sono troppo stanca per riuscire a concentrami.
tutto si ingarbuglia, i programmi si sovrappongono, i casini non finiscono mai, io sono sempre più stanca, non ne posso più di ingoiare rospi, non rispondere a tono, sopportare delusioni, rimproveri, fare la lista dei to do che si allunga e basta, sentirmi inadeguata, non abbastanza produttiva, o elastica, o efficente, o rapida, o paziente, o presente o.

mi dico che mancano poche settimane, che quasi tutto sta per andare al suo posto. che presto le situazioni più complesse si aggiusteranno. ma non ne posso più. io non so vivere sotto pressioni molteplici col sorriso sul viso e la imperturbabilità di certi personaggi zen. io mi agito, soffro di insonnia, bevo troppi caffè e fumo troppo e mangio troppo..insomma divento un disastro su tutti i fronti. e rispondo male ai soli che ho vicino per sfogare lo stress e la stanchezza accumulata.

voglio solo che questo mese finisca. voglio che il navigatore (della macchina ma non solo) si aggiusti. voglio una lunga vacanza da me stessa e dal dovere. voglio che i lutti e le separazioni abbiano una fine.
voglio quello che non posso avere. sentimento così umano, così condivisibile, così insensato.

venerdì 13 aprile 2012

worn-out

che pensavo di essere wonder woman, ma forse non lo sono.
che dire no grazie ai firoi di bach, forse non è stato geniale.
che essere svegliata di notte dal telefono e dal gatto non aiuta.
che dover fare tante di quelle cose che neppure me le ricordo più stanca.
che voler gestire tutto insieme, tutto da sola, esaurisce.
che pure la tesi e perciò lo studio, forse è un po' troppo.

ecco sono worn-out. che però mi sembra un po' lieve per come mi sento.
vorrei trovare un termine migliore. però qualcosa che non spaventi.
finchè non lo trovo mi accontento di worn out.
che la fatica mentale è peggio della fisica.

giovedì 12 aprile 2012

10 piaceri della vita

ringrazio Patalice per avermi nominata.. è la prima volta quindi sono un po' emozionata e un po' confusa..
vediamo se riesco a trovarne 10, che non è proprio un gran momento della mia vita:

  1. il caffè appena sveglia, qundo mi va bene me lo porta a letto mio marito, quando mi va male mi acontento della nespresso, ma per me il caffè è una droga e non averlo una sciagura che mi rovina la giornata.
  2. skype: grazie a chi l'ha inventato perchè con le amiche e amici sparsi in ogni dove, è davvero indispensabile. e poter parlare e ridere con la mia amica che sta in sud africa vedendola (anche se in slow motion) è sempre un'emozione
  3. la musica, soprattutto ben harper, che per me c'è sempre (beh non lui, diciamo l'ipod)
  4. i libri, tutti. vorrei avere una di quelle librerie da maniero inglese, a due piani e soprattutto potermi permettere un incunabolo, anche uno solo..un sogno
  5. la storia. più che un piacere la mia passione. studierei tutta la vita se potessi.
  6. il mio gatto. ecco si, il mio gatto è uno dei piaceri della mia vita. 
  7. i miei amici. l'ho già detto?
  8. il blog. e internet in generale. quando sono stanca di tutto, apro i blog, metto adele su you tube, cerco qualche chicca su wikipedia.
  9. cambiare nazione ogni 2 anni. che anche se mi lamento e mi stressa, è uno dei piaceri della mia vita.
  10. ultimo e primo: il mio amore. e qui, direi, non c'è bisogno di parole.
beh è stato divertente, anche se in relatà scrivendone 10 me ne sono venute in mente almeno 20..meglio così, questo gioco aiuta l'ottimismo.

quindi nomino
kirsebaer (che credo me la farà pagare)
clorofilla
gdn
wallybis
lunastrega
e scusatemi se per caso vi avevano già nominato, ma ripeto non sono pratica, è la mia prima volta!

martedì 10 aprile 2012

sola

viviamo come sogniamo, soli.
joseph conrad

in macchina, ascoltando la radio, tutt'a un tratto sento crollare la diga. è come il trucco che si scioglie, un bicchiere che cade a terra e si distrugge, una piccola implosione, la facciata di un palazzo che crolla piano, in slow motion, pezzi che cadono come pioggia.

siamo soli. ognuno di noi lo è. è uno strano pensiero che non mi da ansia, ma forza. smettere di affannarmi a essere qualcuno in funzione di qualcun'altro rende tutto un po' più facile.
eppure questa consapevolezza rafforza i legami. siamo soli, anime sciolte, o salve, come diceva de' andre'.
ma siamo anche animali sociali, intessiamo rapporti e relazioni. basta capire che non abbiamo possibilità di possesso su nulla e su nessuno.  abbiamo bisogno di compagni di strada, per vivere. ma questo non diminuisce la nostra solitudine.
ci sono universi - i nostri- che non si possono esplorare insieme. in cui gli altri - nessuno, ne madre, ne compagno, ne amico, ne anima gemella - potranno penetrare.

la solitudine non è un male. è un dato di fatto. ci penso al bar, dove bevo un caffè per riparare alla macchinetta che ho rotto ieri. niente caffè per almeno 3 giorni. un incubo. lo penso mentre la caffeina penetra. la sento come scorrere nelle vene. ridà lucidità ai pensieri, rimette tutto al posto giusto.
5 minuti di solitudine in cui posso lasciare la facciata crollare e poi di nuovo tutto a posto. col mio to do e tutto il resto.

sono sola, eppure non mi sento sola. sono grata per chi mi accompagna nel mio cammino. accetto solo il fatto che non siano mia proprietà. non c'è contratto, parola, sguardo, comprensione, che possa legarli indissolubilmente e infinitamente a me. è lavoro giornaliero tenermeli vicini. dare e avere.
ma alla fine, in fondo a tutto, sono sola. e forse va bene così.

mercoledì 4 aprile 2012

sogni e distanze

labbra che si sfiorano, un sorriso carico di aspettative mentre mi fa cadere sul suo letto di 16enne, voce calda che ricordo benissimo che mi assicura che sistemeremo tutto. io stupita ma tranquilla gli ricordo che sono sposata. lui -uguale al 100% al mio ricordo- risponde che è solo uno spiacevole ma gestibile malinteso.

suona la sveglia.
sarà perchè sono nella mia camera di liceale o forse per il bisogno di scappare da una realtà difficile, ma il mio compagno del liceo, quello dell'amore/odio, quello con cui non ho mai combinato nulla, ma il dubbio che saremmo stati una bella coppia ha aleggiato su di noi per 5 anni, ha fatto capolino nei miei sogni, anzi direi ne è stato protagonista in parte.

lo so che non ha senso alcuno, ma questo sogno, così piccolo, così insignificante, anche così "sbagliato" nella sua essenza, mi ha rasserenato. mi sono svegliata e ho pensato di non essere sola. sola ad affrontare tutto, mentre lui è solo ad affrontare -a molti km- un altro tutto.

la distanza fisica non mi ha mai fatto paura. è l'incomunicabilità, il perdersi giorni e momenti e parole della vita dell'altro. condensarle in pochi minuti di telefonata tramuta emozioni in fatti. è questo che temo per noi. questo che non mi piace. il black out. non informativo ma della condivisione. il non-esserci, senza alternative.

ho paura, ma sono certa che il sogno di stanotte volesse dirmi qualcosa. che non c'entrasse nulla con il compagno di liceo, ma che lui fosse solo ambasciatore di un messaggio diverso, che il mio subconscio volesse coccolarmi e rassicurarmi.

posso farcela, possiamo farcela. ma è difficile. e ci vuole tutto il mio impegno per "tenermi" insieme..