gamibu

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giovedì 30 luglio 2015

another suitcase in another hall

meno di un mese fa ero dall'altra parte del mare, dove ormai sono da tre anni. poi, di nuovo le valigie, gli ultimi saluti, l'aereo e sono arrivata tra le colline e il cemento che ho scelto come patria elettiva. abbastanza vicina alla mia famiglia, ma senza che riescano a soffocarmi troppo. 

domani, chiudo l'ennesima casa. i pacchi sono quasi pronti, ammonticchiati in soggiorno, i mobili sono schedati per stanze, il cibo pronto per essere messo nelle borse frigo, i vestiti stipati in valigia, di nuovo.

non so se mi sento triste, davvero, intendo. mi sento precaria, questo si. ma ormai ci ho fatto l'abitudine. sono anni che sono precaria. 8 case in 8 anni e' una bella media, direi. tenendo conto poi che almeno tre volte si tratta di case all'estero, con i traslochi "seri", dovrei essere allenata. non posso neppure dire che mi sento sradicata o persa. semplicemente, ho imparato a farci i conti e a cercare le radici da altre parti. 

semplicemente, chiudo l'ennesima porta e ne apro una nuova, svuoto le scatole, risistemo i libri e i soprammobili, metto i vestiti nell'armadio, reimparo dove sono gli interruttori di casa. 

solo, mi piacerebbe non essere sola nel fare tutto questo. ma ho imparato anche questo dalla vita: non si puo' sempre condividere tutto. non con le vite che ci siamo scelti. avremmo potuto forse scegliere un lavoro sedentario, tutta la vita nello stesso ufficio. niente da ridire. solo, non eravamo noi. le sfide, la difficolta' della vita da expat, imparare nuove lingue, farsi nuovi amici, reinventarsi ogni volta. questo ci emoziona, questo ci rende vivi. 
ovviamente ci sono parecchi lati negativi, tra cui l'impossibilita' di condividere sempre tutto. per quanto cerchiamo di vivere insieme il piu' possibile, ci sono fasi in cui siamo divisi. all'inizio spaventano, poi ci abituiamo, anche se non per questo ci piacciono. e poi finiscono, di nuovo, come quella porta che si chiude e quell'altra che si apre.

ci sono abituata e non soffro troppo, ma ogni volta irrimediabilmente mi viene in mente quella canzone di evita che parla di valigie e hall, e di una vita precaria e di amori finiti. pero' non sono triste. solo un po' disorientata. ma passera'. non appena avro' di nuovo un posto mio, da chiamare casa, qualsiasi esso sia.

venerdì 20 marzo 2015

perche' la misura dell'amore e' la mancanza

e' tanto che non scrivo. sono successe cose in questi mesi. ma non e' successo granche'.

semplicemente non ho piu' sentito il bisogno di scrivere. forse la stanchezza, forse la vita quotidiana, forse il bisogno di riflettere.

ma stamattina mi sono svegliata con una malinconia difficile da ignorare. una senso profondo di solitudine, che mi ha stretto il cuore. mi mancano i miei amici, abbastanza perche' la distanza di una telefonata diventi troppa e io senta il bisogno di sentire la loro solidita' sotto le dita, mentre li abbraccio.
manca la quotidianita', la possibilita' di creare riti e abitudini. mi manca quel senso di non essere sola, soprattutto.

ma sono sospesa, e ci restero' per un pezzo e non so come superare questo momento, che e' proprio questo, un momento. mi manca la solidita' di certe persone, mi manca il loro odore.

e poi mi mancano dei posti: mi capita spesso di chiedermi come posso sprecare la mia vita qui, quando basterebbe salire su un aereo per essere dovunque. mi manca l'odore di londra, la mattina presto. mi manca quel viaggio a new york che quest'estate non potro' fare. ma soprattutto e sopra qualunque luogo conosciuto o meno, mi manca casa. mi manca l'aroma del caffe' che esce dai bar, mi manca la primavera che esplode sulle colline e per le strade. mi manca passeggiare per la mia citta' e mi manca guardarla, riempirmi gli occhi.
poi so che quando saro' tornata vorro' scappare, perche' il mio cuore e il mio cervello non fanno mai pace, ma per ora, oggi, e' forte la malinconia. e allora vorrei semplicemente che fosse gia' aprile per riabbracciare anche solo un weekend i miei boschi e il mio cemento. 

giovedì 8 gennaio 2015

2015

sono arrivata da pochi giorni e merda fa un freddo pazzesco. di quelli che ti entrano nelle ossa e non ti mollano un attimo. anche perche' qui le case non hanno riscaldamento, percio' se fa freddo si sopporta (ma io non so sopportare il freddo).

che c'ho addosso una certa depressione, e non so se e' il brutto tempo o la non voglia di, o l'aver quasi smesso di fumare, o il fatto che non sto bene.  il motivo non lo so, ma quasi tutti i progetti che avevo adesso mi sembrano noiosi, inutili, impossibili, sfinenti etc.

che spero mi passi in fretta o passi in fretta perche' non so come gestirla.

e basta. che il 2015 porta troppe cose, e io non sono pronta neppure per la meta'. a per fortuna e' un anno lungo.

domenica 7 dicembre 2014

nervosa

che a me le vacanze di natale per antonomasia significano stress.
che mi sembra di sbattermi un sacco per niente.
che sono stanca morta e i weekend orami non riesco mai a riposarmi.
che mi sento strattonata in troppe direzioni e prima o poi mi spezzo. o inizio a urlare e non mi fermo piu'.
che oggi non tollero la falsita', le ipocrisie, la stupidita'. piu' del solito intendo.
che vorrei solo dormire.
che mi sento presa in giro e questo mi fa impazzire.
che non basta mai.
che vivo di scadenze, e incastri e partenze e ritorni e saluti e tempo contato.
che vorrei poter dire che in ferie non sara' cosi', e invece sara' peggio.
che niente, oggi e' tutto schifo e dolore.
vado in off. 

giovedì 13 novembre 2014

homesick

mi manca casa, mi manca cosi' forte. 

mi mancano il freddo e le luminarie di natale.
mi manca il profumo di caldarroste e pioggia nell'aria fredda della sera.
mi mancano il piumone e una tazza di the caldo e un serial in tv.
mi manca il lago e le colline, l'odore della terra e dei boschi.
mi manca anche la citta', le sue luci, le persone frettolose, i marciapiedi umidi e gli scorci inaspettati.
mi manca la mia lingua, musicale e semplice. mi manca anche se la parlo tanto. mi manca perche' sono circondata da una strana lingua, suoni diversi che non sempre so decifrare.
mi mancano gli amici, gli aperitivi e le parole in circolo, le chiacchiere leggere e il capirsi con uno sguardo. 
mi manca mia madre che fa l'albero e si agita per i regali. mi manca mia sorella perennemente insoddisfatta.

mi manca la bellezza, cosi' tanto che fa male, cosi' tanto che toglie il fiato.
mi manca perche' qui é cosi' difficile trovarla. è nascosta, sepolta, spesso irraggiungibile.
e io ho bisogno di bellezza. non pensavo di poterla agognare cosi' tanto.

e niente. solo che a volte sono cosi' homesick che dimentico che sono felice, che amo quello che faccio e che sono, che mi piace vivere fuori.
a volte, semplicemente, la malinconia è troppa. 
e allora conto i giorni che mi separano da casa e mi cullo nei ricordi.

venerdì 7 novembre 2014

di esami e pensieri confusi

giorno d'esami e io mi sveglio con il mal di gola e il raffreddore. maledetta aria condizionata a novembre.
e mi sveglio che non ho nessuna voglia di fare quel maledetto ultimo ripasso che dovrebbe farmi entrare in testa tutte le informazioni che stasera mi salveranno dal fare scena muta.
mi alzo con mille altri pensieri. ma io sono fatta cosi': il giorno fatidico, sono gia' oltre, presa da mille altri piani e progetti.

che sono un po' arrabbiata perche' con tutte le cose da fare ho trascurato il mio sogno, che non e' proprio finito in un casetto, ma sotto pile di carta, si. e non trovo il tempo per spolverarlo, ecco.

che sono a casa da sola anche questo weekend e a volte mi chiedo se sia meglio cosi' oppure no.
che mi sembra di fare troppe cose insieme e non farne nessuna.
che odio avere il raffreddore.
che sono gia' tesa ora per il ritorno a casa per natale, perche' io non amo questo paese, no, proprio no, ma io vivo qui e la somma delle aspettative e delle domande che arriveranno mi ammazza.

che la gente pensa che io voglia cose che forse non voglio o forse non potro' avere e faccio confusione e non so piu' dove e' il confine tra me e loro, tra volere e potere.

che cerco di mantenere la calma, la maggior parte del tempo, e a volte non ce la faccio.
che c'ho un sogno che rischia di finire nel cassetto e questo mi fa imbestialire.
che mi mancano i miei amici, quasi sempre.
che sono stanca e malata, e non ho proprio voglia di studiare.
che domani sara' un'altro giorno, come diceva Rossella, e l'importante e' avere sempre una Tara a cui tornare. che forse il problema e' proprio capire quale sia la mia Tara.
che ci pensero' domani.

venerdì 10 ottobre 2014

umani e calzini

mi sono svegliata con l'immagine di certe giornate pigre condivise con amici che non ci sono piu', giornate che non torneranno mai. Ho lasciato che i ricordi mi guidassero in un mondo di nostalgia.
Ho lavorato tutto il giorno, sola, con l'unica compagnia di musica malinconica e un desiderio impellente di fare qualcosa per me, ma non l'ho fatto.
mi sono chiesta per l'ennesima volta nella mia vita, perche' non posso essere pulita come un calzino, perche' non posso avere sogni lineari e desideri realizzabili. mi sono chiesta se questo dipenda proprio dal fatto di non essere un calzino ma un umano. Mi sono commossa davanti a un film e a una canzone che mi ricordavano tutto e niente. Ho provato il desiderio struggente di qualcosa che non so definire. e questo mi ha fatto sentire ancora piu' umana.
vorrei saper creare anch'io una bellezza dolorosa e dolcissima, ma forse e' semplicemente il desiderio di ognuno di noi, quello di sentire che esistiamo davvero e non ci limitiamo a sopravvivere.
ho coccolato il mio gatto e l'ho invidiato perche' si accontenta semplicemente di vivere e non anela a nulla di piu'. poi l'ho coccolato ancora e mi e' dispiaciuto per lui perche' si limita a vivere.
ho lasciato che lacrime insensate rigassero il mio volto e mi sono permessa di essere fragile una volta tanto, senza nessun testimone, tranne un gatto che non parlera'- me l'ha promesso.
mi sono sentita ferita,senza aver idea di cosa mi ferisse: i ricordi, la musica, le mie stesse parole. Ho lasciato che tutte queste cose mi ferissero. perche' so che e' una ferita che si potra' curare. a suo modo e' anche una buona ferita. e se lascera' la cicatrice, non me ne dispiacero'. e' solo un altro dei modi con cui mi ricordero' di essere umana. con cui mi ricordero' che esisto e non mi limito a sopravvivere.

ah, ho anche desiderato essere a casa, e poi mi sono ricordata che ci sono, a casa. e allora non ho saputo piu' cosa desiderare. e ho smesso di piangere e sono tornata al lavoro. e ho curato la ferita. passera', dicono. io dico di no. ma non importa, davvero, non importa. e' bello essere umani a volte, quando non vorrei essere un calzino.