gamibu

gamibu

venerdì 30 settembre 2011

sospesa

quando un abbraccio vale più di mille parole che magari non ho saputo dire.
quando alcune parole, dette così in qualche modo fanno breccia cambiando la mia percezione.
quando una dipendenza che fino a ieri era irragionata e indubbia, perde improvvisamente senso e mi trovo a metà strada tra speranza e timore di poterne uscire.
quando mancano pochi giorni e di solito sono in ansia e stavolta per nulla e non so se è segno che sono pronta oppure del contrario.
ci sono giorni in cui l'unico aggettivo per descrivermi è sospesa.

martedì 27 settembre 2011

when it's gone, it's gone

che ormai è più di un anno che ho ricominciato a parlare la mia lingua, e l'inglese si sta arrugginendo in un cassetto della mia mente insieme alle chiavi -mai rese- della mia precedente casa.
che parte che amo, e a volte chi amo resta, ma questo non è un motivo per restare.
che le scarpette da dorothy stanno partendo senza me.
che se cerchi un'opportunità nuova, questa terra non ne da.
che neppure la sto cercando qui, perchè non mi piace quel che questo posto è diventato.
che il mondo è enorme e io sono già in ritardo se voglio viverlo tutto.
che sono pronta a impacchettare di nuovo la casa, studiare orari di low cost, organizzare weekend, esplorare quartieri e ricominciare.
che però avrei un paio di cose importanti da finire qui prima di.
che non so bene se farò in tempo.

ma qualcosa è finito, senza aggettivi.
che qualcosa è cambiato. lo sento.
non so quanto ci vorrà, ma il mappamondo è stato spolverato e ora troneggia sul tavolo.
basta solo girarlo forte, puntare un dito e dire un nome. poi batto le mie scarpette e vado via.

lunedì 26 settembre 2011

time is running out

lunedì mattina, il tempo scivola via, mi sento persa, mi sento in stasi, mi sento sola e abbandonata, perchè le emozioni non sono razionali e dopo aver messo bene in fila tutte le ragioni, tutti i perchè, tutta la maturità e serenità e che sono riuscita a trovare, sotto tutti gli strati di cui mi sono ammantata, ecco il nocciolo duro che non so sciogliere.
andate via e io resto qui, ho una scadenza, che scade con voi, e tutt'a un tratto, mi sento persa, abbandonata. e allora cerco di inventare un futuro dopo voi, ci provo, un futuro dopo me e per me.
che se ho un obiettivo sarà più semplice anche vivere, solo vivere, ma con una qualche direzione. e allora non mi sembrerà che mi lasciate indietro, ma semplicemente che vi troviate su strade parallele che scivolano accanto alla mia.. e che magari faticano a toccarsi ma ci sono.
se vuoi essere accanto a qualcuno che ami, non ci sei forse già?

vorrei scivolare sopra queste sensazioni, ma è come sciare su neve sciolta, mi incastro, fatico, sbuffo, sudo e vado avanti solo di pochi metri.
scivola via il nostro tempo, e io resto qui, ai margini dei vorrei bloccata dal dovere. non è senza futuro questa nostra strada, è solo che le strade sono diverse da come le immaginavamo, ma il fatto che ci siano state mi lascia il colore del grano e la certezza che il futuro non sarà solo passato.

giovedì 22 settembre 2011

nervosa

innervosita dalla burocrazia, dallo studio che non va, dai pensieri che mi distraggono, dal gatto che ha deciso che è assurdo che io di notte voglia dormire, dall'incapacità di sfondare il muro.
innervosita. troppo bisogno di caffè, sigarette, un amico con cui parlare di qualcosa di diverso dai problemi che attanagliano il mondo e gli adulti.
stufa, sono stufa, ho solo voglia di andare via. via da questo posto che non mi dice niente, via dalle conversazioni in loop da cui non esce mai nulla di interessante o diverso, via da questa rabbia che non so scaricare, via da questo nervosismo per cui non trovo sbocchi.
oggi sono litigiosa. ho voglia di discutere con qualcuno, di dare qualche colpo al sacco, per sentire questo nodo di negatività fluire fuori di me.
è che mi sento incompresa. non che io lo sia.ma dannazione, vorrei più appoggio, più aiuto, più comprensione per i miei stati d'animo altanelanti e invece sempre a mettere la maschera di perbenismo, buona educazione e urbanità.
niente oggi va così, vorrei di nuovo avere l'età per dire quello che penso senza angustiarmi per le conseguenze.
oggi è meglio che non veda nessuno, per non sfogare questa rabbia inspiegabile su chi non c'entra nulla.

lunedì 19 settembre 2011

malinconie anticipate

io odio i count down, mi danno quella terribile sensazione di impotenza e di scadenza irreparabile. tutto ciò che puoi fare è compresso in pochi giorni, che inesorabilmente diventano ore e poi svaniscono, si sfilacciano, si bruciano. e vorrei urlare, correre, fermare il tempo, chiederne solo un altro po', qualche giorno ancora, per favore, un altro caffè, un altro abbraccio, un altro giro di shopping, un'altra confidenza.. per favore.

ma questo è atteggiamento da panico, è la mia volontà di controllo mentre devo cercare di pensare a chi questo count down lo vive con emozione, e aspettativa e paura mista a adrenalina.
non devo essere egoista, chi parte ha molte persone da salutare, non solo me. chi parte ha cose da fare, progetti da incastrare, valige da finire, amori da vivere finchè sono qui.

e allora penso a kirsebaer che arriva a cambridge e la prima mezz'ora è occupata a capire come si arriva dalla sua stanza alla mensa e dalla mensa alle aule e da lì al supermercato e poi di nuovo il giro inverso. e che cambia la sua lingua e il suo modo di pensare per adattarsi alla sua nuova casa. e se la immagino così, magari con un maglioncino rosso e il suo inseparabile eastpack, mi fa meno male vederla andare via, perchè nella mia immaginazione sta sorridendo.

e allora penso alla mia amica lunga, e la immagino per mano al suo amore, che scende dall'aereo in un aereoporto di un paese che non ho mai visto, dove ora è estate invece che un freddo autunno, e la vedo entrare nella sua nuova casa che non conosco e riordinare i suoi vestiti sempre incasinati e installare skype perchè il suo mondo è dall'altra parte del mondo e per lei natale sarà in spiaggia e ferragosto sotto la neve. e allora riesco pure a sorridere di quella mancanza perchè so che nel giro di poche settimane la sua nuova città sarà nelle sue parole il centro del mondo, di una vita sociale intensa e divertente, perchè lei è così, si fa amici pure nel deserto.

e allora è più facile, ma in parte sono palliativi perchè -accidenti- è vero che la misura dell'amore è la mancanza. e io sto già sentendola ora, e ho già gli occhi umidi. e quando sono partita io, e doveva essere un tempo lungo, mi sembrava più difficile e più facile. aveva ragione la mia amica che diceva che era più facile per me che partivo che per loro che rimanevano. perchè se rimani la tua vita scorre uguale solo che manca un pezzo. se parti nulla è più uguale e i pezzi che mancano li senti meno quando rimescoli tutte le carte, o almeno non hai troppo tempo per sentirli.

stupida giornata fredda che porti malinconie anticipate.

sabato 17 settembre 2011

riflessiva e leggera

sole fuori dalla finestra, gatto acciambellato sul divano, tazza di caffè e una sigaretta. un libro che mi aspetta, un marito che rientrerà tra poco. uno splendido pomeriggio -ieri- diviso tra due amiche speciali, due persone che mi basta vederle e già sorrido. e allora faccio scorta di sguardi e parole e momenti e chiacchiere e progetti insieme per riscaldare questo lungo lungo anno che le porta a vivere lontane. e io sento scorrere nelle vene l'adrenalina che leggo loro negli occhi.. e sono contenta per loro e un po' le invidio e un po' no, che ognuna ha la sua strada e mi scopro a sorridere non sapendo per nulla quale sia la mia.
ho voglia di condividere, ho voglia di abbracciare, di bere una birra con qualche amico, di fare shopping e spendere soldi che non ho in cose che non mi servono, ho voglia di concerti già passati, ho voglia di leggerezza, ho voglia di allegria, ho voglia di essere positiva.

kirsebaer mi sgrida dcendo che scrivo solo quando sono triste, come se le nascondessi un substrato ansioso di me. forse un po' è vero, amica mia, ma purtroppo è così che mi hanno cresciuta, con l'aspettativa del peggio, del negativo. e ci vuole molto lavoro per venirne fuori, per imparare a guardare al domani senza ansie di controllo, senso di inferiorità mischiato a delirio di onnipotenza, senza usare quotidianamente schemi rigidi e preoccupazione come scala di misurazione di qualsiasi sentimento.
ci provo, davvero, è faticoso, e quando ho bisogno di riflettere, di sviscerare scrivo.. ma non per questo sono triste, io direi più riflessiva..

però eccomi qui, con un post che sa di cannella, vaniglia, muffin alle mele, prati appena tagliati e città sotto temporali estivi.. basterà quest'allegria?

giovedì 15 settembre 2011

fatiche

c'è una parte di me che non riesce a immaginarsi molto più grande di una cinquenne, zainetto dell'asilo e grembiulino a camminare all'ombra di una mamma altissima e bionda a cui cerca di prendere la mano mentre lei fa mille cose insieme.
una parte di me, lotta per imparare a far crescere quell'immagine, a smettere di cercare conferme dove non possono esserci, a farsi una ragione dei limiti di mia madre senza per questo doverla distruggere. è una parte di me che piange, si incazza, litiga con se stessa, a volte mette il muso e spesso trova compromessi.
è difficile, un lavoraccio, crescere, emanciparsi, andare avanti cercando un punto d'equilibrio. un amore che non soffochi ma avvolga, un'indipendenza serena e non urlata, una diversità positiva e non qualitativa. tutti obiettivi che messi a fuoco sembrano sempre troppo lontani. esiste uno zoom per vederli ma poi sfuggono i dettagli e il percorso per raggiungerli. so solo che è in salita.

poi vado a cena dai miei e mio padre mi spiazza con una notizia che lo preoccupa e che non sa come dire a mia madre. e io lo guardo e per la prima, primissima volta realizzo che presto sarò io a occuparmi di loro e non viceversa come succede da sempre.

e mi vengono le vertigini.. quante cinquenni sanno badare ai loro genitori?

tempo di crescere..e non è mai semplice come mi aspettavo. ma a volte una porta in faccia all'egocentrismo ci sta.

ma chi l'ha detto che le crisalidi non provino dolore nel trasformarsi in farfalle?

martedì 13 settembre 2011

equilibrio precario

non avere un pensiero compiuto dall'inizio alla fine, solo una sensazione. che i pensieri che ci sono non siano quelli giusti da pensare. che siano pieni di negatività, pessimismo, ansie e irritazione.
e allora mi fermo. cosa c'è che non va?
perchè sei pensieri girano così un motivo deve esserci.
è che mi manchi. mi manchi anche se ci sei. mi manchi nelle cene che non si possono evitare, mi manchi nella tv e nel puzzle, mi manchi nelle parole che girano a vuoto.
mi manchi nell'esserci.
e mi piace, che tu mi manchi.
questo campanello d'allarme mi riporta qui, mi ricorda perchè, mi ammonisce sul come.
se lo ascolto, andrà tutto a posto. e i pensieri molesti mi lasceranno.
e poi mi fermo di nuovo.
sto ipotizzando strade così diverse che mi sembrano impossibili da conciliare.
sto vivendo distacchi che pesano sul cuore. ne sto rimandando altri che spaccando il cuore lo sanerebbero finalmente, alla fine.
sto scappando per restare.
sto guardando le vite degli altri in posizione defilata, sto imparando che penso cose più belle di quelle che pensavo di pensare e cose diverse da quelle che temevo di non poter non pensare.
sono in equilibrio precario. qui, proprio dove voglio stare. e in altri mille posti dovrei forse, un giorno.
a volte -come adesso- sento di essere molto più simile a me di quanto non pensassi.
a volte basta scrivere un post dall'inizio alla fine per lasciare nelle prime righe i malumori e ritrovarsi serene.

lunedì 5 settembre 2011

dubbi

io non lo so se sono previdente o se il bisogno di preoccuparsi è più forte di me, un eccitante egoistico di cui non so fare a meno. perchè se mi preoccupo, sono "impegnata", se mi preoccupo, voglio bene, se mi preoccupo, ho una coscienza e una accesa sensibiità.
dove ho imparato queste definizioni? devono avermele date a bere col biberon, e ora non liberarmene. il problema è che se mi preoccupo, io mi sento "brava". è più forte di me..maledetto latte in polvere..
e allora mi preoccupo..
ma odio preoccuparmi, è una parte di me che detesto, come la cellulite e la ciccia..parti che vorrei estirpare, tagliare via, per l'insofferenza che mi causano con la loro inappropriatezza all'immagine che ho di me. così la preoccupazione fine a se stessa.. che mi suona in testa quella frase "non si è mai preoccupati per gli altri. si è preoccupati per se stessi": è vera? avrà detto così o io avrò voluto ricordarmela così? e poi ho in testa mia madre..ma sì, ovvio lei è la personificazione della preoccupazione..e per me essere preoccupata è essere come lei..e allora mi agito e mi aggroviglio in questo rapporto di simbiosi e contro dipendenza..e annaspo, e non so uscirne.

e allora mi dico: ma come faccio a chiudere con la psico? mi sembra che saperlo, saper leggere tutti i segnali, le molliche di pollicino, non sposti minimamente questa insofferenza, e incapacità di gestire la cosa, e questa maledetta preoccupazione - per gli altri? per me?- questo bisogno sempre e comunque di esserci-non esserci, di simbiosi-controdipendenza.

e poi mi arriva un sms.. la tentazione di ricaderci, di riprendere una dose, per vedere se fa ancora bene e se fa ancora male. la tentazione.. dovrei resistere? ha senso resistere o ricado nella controdipendenza?
ma se so che lei mi fa stare male, se avevo deciso di tagliarla fuori, perchè riprenderla in consderazione? in previsione di un triste inverno solitario, quando le coperte delle chiacchiere e il the diviso con loro non ci sarà più?
ma se vuoi essere accanto a qualcuno che ami, non ci sei forse già?
non voglio palliativi alla mancanza. nn voglio fare altri passi indietro, voglio andare avanti.. ma allora perchè quella tentazione? sono certa che sia arretrare?

non sono certa di niente..
ma non pensare che sia triste, anima, sono solo riflessiva..capita anche a me..

venerdì 2 settembre 2011

manca un pezzo

lo sento, manca un pezzo. è come se ogni conversazione fosse superficie per non scavare, ogni contatto ridotto al minimo per non dover fare o farsi domande che vadano oltre, ogni istante il dubbio, tenace, di star sbagliando qualcosa, di non dare il massimo, di non essere convinta.
poi però mi chiedo se manca davvero un pezzo, o se semplicemente non reisco ad astrarmi dalla folle corsa verso il di più, verso un meglio non identificato ma comunque vagheggiato, se è solo la presunzione e l'insoddisfazione permanente, l'idea onnipotente di meritare di più.
oppure no, oppure manca davvero quel pezzo che non so identificare e quindi la mancanza che provo è reale.
il problema è che, se davvero manca qualcosa, non so cosa sia, non ha contorni e odori e spessore. è solo una sensazione indistinta a cui non so dare forma.
e allora nasce il dubbio. manca davvero qualcosa? perchè una parte di me sostiene che se mancasse dovrei riuscire a identificare cos'è. un'altra sostiene che non voglio andare a guardare per paura della frustrazione di non poterlo ottenere.
e allora sto qui, immobile, un po' speranzosa che stando ferma si calmino le acque un po' che stando ferma, emerga da solo.
resto qui. aspetto. finchè non avrò più forza e tempo di aspettare. finchè qualcosa accadrà o la farò accadere.