gamibu

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domenica 24 marzo 2013

fragilità e stupore

le relazioni sono fragili, gli equilibri sono fragili. il sole che splende tutto il giorno lascerà posto al vento del deserto, le ore pigre di studio finiranno. le amiche partiranno per nuove destinazioni.

sarà che il panta rei non mi è mai piaciuto granchè come concetto. è vero, ma banale. questo pensiero è banale. eppure la sera prima di dormire pensando a un amico che non si fa più vedere. eppure la mattina seduta al sole, accanto alle mie amiche, bevendo un succo di melone. eppure leggendo e rileggendo le ultime pagine della tesi.
sento tutta la fragilità di questa vita sospesa. e mi stupisco che sia la mia. che quella ragazza granitica, dal futuro certo, possa essersi trasformata in una donna -donna? oddio, si, l'età anagrafica parla chiaro- che vive sospesa. sospesa, nel senso di "a mezz'aria", senza certezze di lungo periodo.
mi rendo conto di essere in una situazione invidiabile. mi rendo conto che non potrà durare a lungo. mi rendo conto che questa eterna estate è innaturale, questa eterna vacanza-o quasi- è assurda.
ma vivo così. e mi piace, cavoli, mi piace e mai l'avrei creduto possibile.

e mi piace anche e soprattutto perchè è fragile, fragilissima. basta una parola e tutto si incrina, basta pensare un po' più in là e già non funziona più.. si rompe e disintegra come un bicchiere che cade a rallentatore. eppure non fa male. forse lo farà, ma per ora non fa male. è solo irreale. ma è mio. quella piena di certezze, che ora vive di irrealtà.

e mi stupisco, ecco, sono piena di stupore. e lo stupore non fa male. quasi mai.

mercoledì 20 marzo 2013

alcool, marinai e foto

sono immersa nei libri, negli appunti, nei post it e nelle pagine della tesi. ho piani in testa, per arrivare a mettere la parola fine, ma non riesco a rispettarli. fuori c'è il sole-sempre- una bella temperatura, prima che l'estate arrivi e ci massacri, una palestra e delle amiche che mi aspettano.

e un peso sullo stomaco. che io serena non ci so stare. tra senso di colpa, fatica, ansia e pensieri negativi sul futuro, la sera mi rigiro nel letto senza pace. mi sono resa conto che mi addormento di botto solo quando esco la sera e bevo una birra o un paio di bicchieri di vino. cioè solo l'alcool riesce a farmi addormentare come un bambino.
ovviamente questo non significa che presto mi troverò a una riunione di alcolisti anonimi. questo non mi ha spinto a bere. però mi sono accorta che solo quando ho bevuto dormo senza pensieri.

questo significa, semplicemente, che ho troppi pensieri. e troppe paranoie. e troppe ansie per il futuro.
vivo così sospesa. con quest'ansia di fare, questo bisogno di vedere una strada tracciata di fronte a me, che cozza prepotentemente con quella che sono, e che vorrei essere: vorrei essere un marinaio -virtualmente, visto che soffro il mal di mare e sincermente preferisco avere il mare davanti che sotto- perchè i marinai tracciano una rotta che, per quanto precisa, resta sempre una rotta di massima, perchè non possono sapere in anticipo se il vento girerà, se verrà una tempesta, se la barca risponderà a dovere. cioè un po' lo sanno, un po' lo fiutano, molto è affidato all'istinto.
saper perdere la strada e seguire le stelle, saper immaginare non l'approdo, ma la rotta, miglio per miglio, correggendola se si scarroccia troppo.

ecco mi piacerebbe essere così. capace di annusare l'aria e seguire le tracce. non aver paura del viaggio, anzi godermelo tutto. io non voglio la foto dell'approdo, voglio le foto del viaggio, quando si fa fatica, si suda, si teme di non farcela, si piange anche, si perde la rotta, si improvvisa. perchè quella è la parte vera. non l'approdo, quando ripulita e sorridente ti metti in posa, ma prima, mentre sei solo tu e quella cavolo di strada sbagliata o persa o dubbia. quando pensi che non ce la farai e come un mantra ti ripeti ossessivamente -ce la farò, ce la farò, ce la farò-.
voglio le foto del mentre, del durante. per non dimenticare mai quanto è costato l'approdo, ma anche quanta soddisfazione ha dato andare oltre me stessa, le mie paure e le mie ansie. con o senza birra.

mercoledì 13 marzo 2013

sospesa e dissonante

sospesa, tra estate e inverno. tra casa e casa. tra nord e sud. tra fine e inizio.

è il momento peggiore. quello in cui vorrei fuggire da me stessa e dagli altri. quello di chiudere le valigie. quello in cui consegni la tesi e la gente ti incontra e invece di farti i complimenti ti chiede che farai dopo.
incapacità di fermarsi nel momento. mia e altrui. di godere quello che c'è. ora e qui.
com'è che non ci si può mai sedere un secondo? riposare? contemplare il proprio risultato?
ci ho messo anni anche solo a pormi queste domande. e ora che la grande conquista è raggiunta, ora che posso pensare di fermarmi a contemplare, mi rendo conto che sono dissonante con la società. è bisogno di informazione o di proiezione? quanto c'è di interesse in questa domanda, quanto di curiosità morbosa, quanto di indicibile voglia di vederti cadere, quanto di incapacità di godere?

quel che ho fatto l'ho fatto per me. l'ho fatto perchè l'amavo. era fine a se stesso. onanistico. ma consapevolmente. e poi? non c'è un poi. c'è un adesso. un adesso in cui finisco di studiare, preparo il discorso, mi agiterò per la discussione.
a parte il banale fatto che non avrò finito finchè non mi dichiareranno laureata, ma comunque, anche dopo, non ci sarà un poi. solo un dopo.

chissà dove si è persa la capacità di essere a vantaggio di quella di fare?

bisogna essere performanti, rispondere alle aspettative, produrre-in qualsiasi modo e senso- agire, muoversi.
ho lottato nelle maglie tese di queste definizioni a lungo. dopo anni, un po' per volontà, con sofferenza, un po' per fortuna, ne sono uscita. sono dall'altro lato, sono sul sunnyside of the street e mi vedo, ci vedo, pesci in una tonnara. hai voglia a dibatterti. più ti muovi freneticamente e più sei incastrato, destinato a diventare riomare.

non è una critica alla società, non pretendo di essere illuminata come il dalai lama. sono fortunata e lo so. solo che so- e sono l'unica a saperlo delle persone che intorno a me giudicano, sussurrano, invidiano- anche quanto mi è costato. e quanto ancora mi costi il mio essere dissonante.
eppure non potrei rientrare in quelle maglie, sarebbe come quel fortunato pesciolino scivolato fuori dalla tonnara, che, per paura del mare infinito da affrontare da solo, vi rientrasse spontaneamente.