sospesa, tra estate e inverno. tra casa e casa. tra nord e sud. tra fine e inizio.
è il momento peggiore. quello in cui vorrei fuggire da me stessa e dagli altri. quello di chiudere le valigie. quello in cui consegni la tesi e la gente ti incontra e invece di farti i complimenti ti chiede che farai dopo.
incapacità di fermarsi nel momento. mia e altrui. di godere quello che c'è. ora e qui.
com'è che non ci si può mai sedere un secondo? riposare? contemplare il proprio risultato?
ci ho messo anni anche solo a pormi queste domande. e ora che la grande conquista è raggiunta, ora che posso pensare di fermarmi a contemplare, mi rendo conto che sono dissonante con la società. è bisogno di informazione o di proiezione? quanto c'è di interesse in questa domanda, quanto di curiosità morbosa, quanto di indicibile voglia di vederti cadere, quanto di incapacità di godere?
quel che ho fatto l'ho fatto per me. l'ho fatto perchè l'amavo. era fine a se stesso. onanistico. ma consapevolmente. e poi? non c'è un poi. c'è un adesso. un adesso in cui finisco di studiare, preparo il discorso, mi agiterò per la discussione.
a parte il banale fatto che non avrò finito finchè non mi dichiareranno laureata, ma comunque, anche dopo, non ci sarà un poi. solo un dopo.
chissà dove si è persa la capacità di essere a vantaggio di quella di fare?
bisogna essere performanti, rispondere alle aspettative, produrre-in qualsiasi modo e senso- agire, muoversi.
ho lottato nelle maglie tese di queste definizioni a lungo. dopo anni, un po' per volontà, con sofferenza, un po' per fortuna, ne sono uscita. sono dall'altro lato, sono sul sunnyside of the street e mi vedo, ci vedo, pesci in una tonnara. hai voglia a dibatterti. più ti muovi freneticamente e più sei incastrato, destinato a diventare riomare.
non è una critica alla società, non pretendo di essere illuminata come il dalai lama. sono fortunata e lo so. solo che so- e sono l'unica a saperlo delle persone che intorno a me giudicano, sussurrano, invidiano- anche quanto mi è costato. e quanto ancora mi costi il mio essere dissonante.
eppure non potrei rientrare in quelle maglie, sarebbe come quel fortunato pesciolino scivolato fuori dalla tonnara, che, per paura del mare infinito da affrontare da solo, vi rientrasse spontaneamente.
è il momento peggiore. quello in cui vorrei fuggire da me stessa e dagli altri. quello di chiudere le valigie. quello in cui consegni la tesi e la gente ti incontra e invece di farti i complimenti ti chiede che farai dopo.
incapacità di fermarsi nel momento. mia e altrui. di godere quello che c'è. ora e qui.
com'è che non ci si può mai sedere un secondo? riposare? contemplare il proprio risultato?
ci ho messo anni anche solo a pormi queste domande. e ora che la grande conquista è raggiunta, ora che posso pensare di fermarmi a contemplare, mi rendo conto che sono dissonante con la società. è bisogno di informazione o di proiezione? quanto c'è di interesse in questa domanda, quanto di curiosità morbosa, quanto di indicibile voglia di vederti cadere, quanto di incapacità di godere?
quel che ho fatto l'ho fatto per me. l'ho fatto perchè l'amavo. era fine a se stesso. onanistico. ma consapevolmente. e poi? non c'è un poi. c'è un adesso. un adesso in cui finisco di studiare, preparo il discorso, mi agiterò per la discussione.
a parte il banale fatto che non avrò finito finchè non mi dichiareranno laureata, ma comunque, anche dopo, non ci sarà un poi. solo un dopo.
chissà dove si è persa la capacità di essere a vantaggio di quella di fare?
bisogna essere performanti, rispondere alle aspettative, produrre-in qualsiasi modo e senso- agire, muoversi.
ho lottato nelle maglie tese di queste definizioni a lungo. dopo anni, un po' per volontà, con sofferenza, un po' per fortuna, ne sono uscita. sono dall'altro lato, sono sul sunnyside of the street e mi vedo, ci vedo, pesci in una tonnara. hai voglia a dibatterti. più ti muovi freneticamente e più sei incastrato, destinato a diventare riomare.
non è una critica alla società, non pretendo di essere illuminata come il dalai lama. sono fortunata e lo so. solo che so- e sono l'unica a saperlo delle persone che intorno a me giudicano, sussurrano, invidiano- anche quanto mi è costato. e quanto ancora mi costi il mio essere dissonante.
eppure non potrei rientrare in quelle maglie, sarebbe come quel fortunato pesciolino scivolato fuori dalla tonnara, che, per paura del mare infinito da affrontare da solo, vi rientrasse spontaneamente.
Forse bisogna solo accettarsi. Guardare con occhi nuovi l'insieme e pensare a che bello sia stato arrivare fin qui.
RispondiEliminaChe poi non conta se adesso non si sono risposte, quelle le troviamo solo se andiamo avanti nonostante il buio.