a volte la vita ti riporta sensazioni e odori di altri giorni.
entro nella casa e la prima cosa che mi dicono è di togliere le scarpe.
entro in sala, una strana casa che ricorda quelle degli studenti. sulla tavola, piatti esotici mai assaggiati, intorno persone di ogni nazionalità, con storie assurde alle spalle. sento racconti che non sentivo dai tempi di londra, oltre dieci anni fa. vite incrociate e percorsi tortuosi per finire tutti intorno a questo tavolo.
la storia più banale, la mia. intorno scelte al limite del paradossale, incomprensibili, ma belle.
dopo cena, una chitarra, canzoni in tutte le lingue: una nenia per bambini in coreano, voci calde sudamericane, ballate da provincia americana, suoni arabi.
si beve rigorosamente analcolico, si mangia brigadeiro. si chiacchiera in ogni lingua.
casa spartana, freddo tecnologico, caldo di umanità.
mi ritrovo in una soffitta londinese, scalza, ad ascoltare un brasiliano cantare la sua saudade. mi ritrovo nei collettivi studenteschi fino a tarda notte, mi ritrovo a dibattere di politica e cultura e sociale.
e mi trovo e non mi trovo.
io con le mie scarpe col tacco, la mia camicia di seta e le collane brillanti. e mi dicono che sembro un'artista. strana idea di artista italiana hanno da queste parti.
mi trovo e non mi trovo.
vorrei dire mi trovo ma non sarei sincera. posso dire così sono stata. ma non sono più. e allora sento una specie di agitazione alla bocca bocca dello stomaco, misto di disagio e partecipazione, vorrei ma.
però sento anche un caldo dolce e un po' di nostalgia.
sono vite non vissute che mi scivolano accanto.
sono vite non mie.
sono vite che vale la pena di incrociare.
entro nella casa e la prima cosa che mi dicono è di togliere le scarpe.
entro in sala, una strana casa che ricorda quelle degli studenti. sulla tavola, piatti esotici mai assaggiati, intorno persone di ogni nazionalità, con storie assurde alle spalle. sento racconti che non sentivo dai tempi di londra, oltre dieci anni fa. vite incrociate e percorsi tortuosi per finire tutti intorno a questo tavolo.
la storia più banale, la mia. intorno scelte al limite del paradossale, incomprensibili, ma belle.
dopo cena, una chitarra, canzoni in tutte le lingue: una nenia per bambini in coreano, voci calde sudamericane, ballate da provincia americana, suoni arabi.
si beve rigorosamente analcolico, si mangia brigadeiro. si chiacchiera in ogni lingua.
casa spartana, freddo tecnologico, caldo di umanità.
mi ritrovo in una soffitta londinese, scalza, ad ascoltare un brasiliano cantare la sua saudade. mi ritrovo nei collettivi studenteschi fino a tarda notte, mi ritrovo a dibattere di politica e cultura e sociale.
e mi trovo e non mi trovo.
io con le mie scarpe col tacco, la mia camicia di seta e le collane brillanti. e mi dicono che sembro un'artista. strana idea di artista italiana hanno da queste parti.
mi trovo e non mi trovo.
vorrei dire mi trovo ma non sarei sincera. posso dire così sono stata. ma non sono più. e allora sento una specie di agitazione alla bocca bocca dello stomaco, misto di disagio e partecipazione, vorrei ma.
però sento anche un caldo dolce e un po' di nostalgia.
sono vite non vissute che mi scivolano accanto.
sono vite non mie.
sono vite che vale la pena di incrociare.
ogni vita incrociata è un regalo e un sapore.
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